lunedì 15 agosto 2011

Le voci di Santa Maria della Pietà

Quando si entra nel padiglione delle Zimbabwe bisogna percorrere le scale e i corridoi immaginando il vociare di bambini, e i giochi sparsi, allora tutto acquista un senso maggiore. In questo palazzo da qualche secolo, e in parte anche oggi, venivano ospitati gli orfani della città e qui veniva data loro l’educazione, la cultura e la possibilità di emanciparsi nella società veneziana, tanto da non essere rari i casi di bambini diventati nel tempo, notabili della città. Per questo commuove, appena si percepisce l’assonanza, il rapporto fra le opere esposte e la memoria del luogo. Alle pareti vi sono una serie di tele di Misheck Masamvu che rappresentano immagini di corpi primitivi, densi di dramma intimo e personale. Sono figure che sembrano raccontare del loro abbandono vivendone il dolore in modo sommesso e privato. Il concetto di madre terra e di madre viene espresso nella stanza in cui alcune grandi foto mostrano delle famiglie composite a conclusione di un ciclo espositivo che racconta di una storia personale, quella di Misheck Masamvu, di un malessere universale, e delle storie che sono passate in Santa Maria della Pietà.







Nello stesso complesso si trova anche l’esposizione dell’Irlanda, anch’essa inserita a proposito in questo contesto. Si tratta del lavoro di ricerca di Corban Walker che si basa sull’esplorazione del concetto di misura, trasformando il fuori scala della sua altezza in strumento di misura dello spazio, facendo diventare il proprio corpo, sebbene non rispondente alle misure vitruviane, strumento di misura a sua volta. La struttura collocata al centro della stanza ‘Please Adjust’, è una struttura di cubi metallici che si reggono uno sull’altro secondo le regole del caos, e quelle della lezione di Sol Levitt. Tale approccio al tema è molto interessante, perché è un atteggiamento architettonico, e probabilmente le opere esposte sono limitate rispetto alla produzione di Walker, per averne un quadro completo. Di sicuro è un’affermazione del fatto che i limiti che ognuno ha, devono diventare strumento di comprensione dello spazio e di affermazione personale nella società.


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