domenica 11 giugno 2017

Macchine celibi a Venezia

Venezia è una città che osserva con nobile distacco la folla che la invade. Onde liquide che arrivano, lasciano dei detriti, in parte arricchiscono, spesso se ne nutrono distrattamente. Ma è abituata nei secoli a vedere che tutto passa, anche chi cerca si approfittarsene di lei, e nonostante le previsioni resiste, seleziona persino le architetture, resiste solo ciò che si integra e si lascia plasmare dalle sue acque.
E' la solita necessità di bellezza che mi porta in queste calli dove le epoche hanno lasciato tracce, per cercare ancora di capire cosa sia e perchè cerchiamo di fare arte. Troppo semplicistico definirla necessità.
In questi mesi di biennale è interessante vedere come l'arte di oggi si confronta con quella del passato. Non è certo un confronto consapevole, le mostre della Biennale non hanno questo fine, ma è inevitabile che tale confronto vi sia. Ed è allo stesso tempo interessante leggere ciò che viene esposto come una descrizione del momento che viviamo.

In questo senso mi ha illuminato (termine non a caso) un articolo di Marco Belpoliti su LaRepubblica dove traccia un parallelo fra i Fidget spinner e le Macchine Celibi. Inventate da Duchamp, si tratta di strutture che non producono nulla ma dissipano energia. Inutili ma attrattive nella loro iterazione di movimenti, al limite dell'ossessivo, non generano nulla, piuttosto svuotano di senso e trasformano un concetto in pornografia. 

Sembra essere l'operazione che è stata fatta inserendo 'The Golden Tower' di James Lee Byars a Campo San Vio. Si possono trovare vari eufemismi, l'effetto in ogni caso è stridente. Una torre presuppone un ingresso e una vista dall'alto, un monolite la pietra, un faro presuppone un orizzonte netto in lontananza. Lo spazio intorno dà subito la sua sentenza, un tributo che appare un gesto ironico, sottolineato dalle risate dei passanti che non trattengono l'ironia. Dispiace che per l'intenzione, forse sincera, di ricordare un artista che in città ha vissuto a lungo, si sia deciso di realizzare un suo progetto, pensato per Berlino, e collocarlo in un luogo, dove, contrariamente ai progetti da lui seguiti, viene trasformato in un oggetto di derisione. 
La logica del progetto è tradita e l'idea diventa una macchina celibe. Allo stesso modo agisce quella regola per cui se hai una piccola idea realizzala in formato abnorme per darle uno spessore che non ha, oppure trasforma in oggetto di design qualsiasi cosa o perversione. 
Ogni argomento vacuo è una via di fuga dal proprio centro. 

Ecco che nel Padiglione dell'Azerbaijan un video mi ricorda che ogni individuo ha un centro cui si arriva attraverso i meandri di un labirinto Un'impronta unica per ognuno, perchè ognuno ha la sua identità labirintica, spesso indecifrabile a se stessi quando ci si allontana troppo dal centro.
Allora serve un'idea, o meglio un'illuminazione per ritrovare quel centro. 

A Mestre al Candiani c'è la mostra 'Attorno a Tiziano. L'annuncio e la luce verso il Contemporaneo'.  

Un po' di pace in una esposizione in cui mi sono trovata essere l'unica visitatrice. Anche qui c'è il confronto fra epoche diverse, fra l'Annunciazione di Tiziano e i Concetti Spaziali di Fontana. In entrambi la luce e la composizione lavorano di concerto, il primo secondo canoni classici, mentre Fontana si libera dal classicismo, cerca la terza dimensione sulla tela, taglia e crea uno spiraglio di luce. L'illuminazione di un'idea che è sintesi dell'arte che l'ha preceduto e racconta il dopoguerra.

Il caos di oggi, può essere descritto solo attraverso macchine celibi, architetture autoreferenziali, volgarità edulcorate dal design, esibizionismi mascherati da opere d'arte? Meglio forse il nobile distacco veneziano con la consapevolezza che:

perchè:

del caos tutti ne sono responsabili.
(Solo avvicinandosi all'opera di Fontana si vede aggiunto a matita il 'non' fra 'io' e 'sono'.)