domenica 8 dicembre 2013

sabato 9 novembre 2013

Padiglione Brasile


La citazione del lavoro di Bruno Munari con l'esposizione di Concavo/Convesso.
Attimi di poesia.

sabato 2 novembre 2013

Biennale d'Arte 55

Mi è stato chiesto cosa possa spingere centinaia di persone a resistere alla prova di dissuasione di una fila lunghissima per entrare alla Biennale e ad accorrere in massa a vederla. E siccome è buona regola parlare di ciò che si conosce ho pensato a cosa muove la sottoscritta.
Ci si sposta malgrado alcune difficoltà, magari fisiche, per esempio quei malanni che accusano e devono trascurare i precari, nonostante i quali si deve andare a lavorare, affrontando stoicamente la nuova schiavitù aziendale. Non ferma nemmeno il tempo incerto e umido che di sicuro non agevola nemmeno la riabilitazione; né tanto meno il viaggio in autobus senza sospensioni, così come l'aumento sconsiderato del prezzo dei biglietti della mostra.
I motivi possono essere i più disparati: qualcuno lo farà per moda, altri come lodevole alternativa ai centri commerciali, molti nel caso specifico della Biennale perché è un evento, altri per necessità professionale o curiosità culturale.
Ma nel profondo dell'animo umano credo ci sia il desiderio di diventare migliori attraverso la visione e l'esperienza della bellezza intesa in senso lato. E quando questo non accade e si avverte, uscendo, quella sensazione di non aver imparato qualcosa, la delusione prevale anche sulla stanchezza fisica.

Il record di visitatori alla 55a Biennale d'Arte ne decreta il successo. Dal punto di vista numerico e quindi economico è un fatto indiscutibile.
E' un'esposizione che ha l'intento di mostrarci attraverso le esperienze artistiche contemporanee, lo stato delle cose, farci capire dove l'uomo sta andando attraverso lo sguardo degli artisti. Un obiettivo alto. 
Questo è un altro successo di questa edizione della Biennale rispetto alle ultime edizioni; perché mai come quest'anno si è vista la totale decadenza dell'arte. Non è d'altra parte, la nostra, un epoca di decadenza culturale, morale e politica?

Sono ormai intollerante alle pretestuose provocazioni di performance che vorrebbero disturbare ma che vedo ora provocare moti d'ilarità soprattutto fra i giovani, abituati a ben altro. Corpi stesi in 'simil pisolini post prandiali', suoni gutturali emessi dal performer n°1 mentre il n°2 si muove trasportato dalle vibrazioni sonore, e attenti che non si possono fotografare altrimenti si sciupano, o un cavallerizzo che per otto ore al giorno deve stare a cavalcioni su una trave come simbolo dell'uomo consumista. Non stupiscono più e non disturbano nemmeno. Al limite per loro si può avvertire un sentimento di compassione. 

Ora che il mio viaggio tra Arsenale e Giardini è concluso posso esprimere un giudizio complessivo, e inizio questi racconti dalla fine perché speravo di ricredermi ed essere, alla fine, stupita. Dedicherò attenzione solo a ciò che considero degno di nota, per gli altri, compreso il padiglione Italia, è più rispettoso un eloquente silenzio.


domenica 6 ottobre 2013

Pensiero del giorno

E' di qualche mese fa la frase di George Baselitz riportata su di un articolo su La lettura di oggi: "Le donne non sanno dipingere, non sono mai state brave. Lo provano test di mercato." 
Può essere vero, così come nel caso dei maschi; certamente sua madre è stata incapace di fare un figlio che potesse dirsi artista. Nonostante il mercato.

domenica 22 settembre 2013

Non si scrive sui muri!


Ma come non essere d'accordo quando un muro all'improvviso ti parla così.
Pubblico la foto pensando a quanti convivono con l'incertezza e la certezza, ormai, che le loro idee e progetti siano superflui; a quanti non sanno cosa sono le ferie perché non ne hanno diritto e se si ammalano è perché sono inefficienti; a quanti sentono il peso di chi giudica la loro precarietà come indice di fallimento e sconfitta.
A questo writer va il nostro sentito grazie.

domenica 15 settembre 2013

When Attitudes Become Form: Bern 1969/ Venice 2013

L'operazione che la Fondazione Prada ha fatto nel riproporre la storica esposizione di Berna è lodevole e interessante, per quanto pecchi di numerose lacune. Molte installazioni non sono presenti ed ha un effetto straniante vedere le professionali guide illustrare l'assenza di un oggetto evocato dalla foto al margine dell'area ad esso destinata.
Sono installazioni storiche ormai superate in provocazione, verso le quali i nostri occhi non restano più sorpresi, piuttosto si possono incrociare gli sguardi perplessi dei visitatori d'oggi, il che dimostra la loro distanza, ma non mi hanno lasciato indifferente alcune scelte espositive. Il palazzo Cà Corner della Regina è ancora in attesa di un restauro definitivo, ma questo non toglie che il vedere il tubo di ferro di una scultura puntato contro una parete di stucchi, sebbene in attesa di restauro, mi crei un male fisico. Capisco la necessità di essere didascalici nell'esporre le opere così com'erano disposte a Berna ricostruendo il percorso espositivo del 1969,  ma non capisco perchè farlo a discapito del luogo attuale, lasciando intravvedere un certo atteggiamento irrispettoso per opere molto più antiche. Lo stesso dicasi per i faretti addossati agli affreschi per illuminare l'Igloo di Mario Merz, cui va il mio massimo rispetto.
Volontario o meno, il confronto fra l'antico che emerge fra i rivestimenti che ricostruiscono gli spazi di Berna, e le installazioni, sembra avere la funzione di dare 'respiro' al visitatore che può riposare gli occhi sui soffitti decorati e affrescati, sulle travi e sui saloni. L'ironia fa capolino quando una persona a caso, in un disimpegno di passaggio fra una sala e l'altra si sofferma ad ammirare una centina d'arco scoperta, non è un'opera della mostra ma alcuni visitatori della sala precedente, pensando di essersi persi una sezione della mostra, accorrono a vedere anche loro quell'opera di carpenteria. Delusi che non lo sia se ne vanno subito verso labili strutture scomposte. Non si può non pensare alla scena finale del film 'Le vacanze intelligenti'.
All'interno non è possibile fotografare, d'altra parte sul sito c'è una documentazione esaustiva, ciò però non vieta che alcuni visitatori armati di telefoni aggiornati non facessero qualche scatto. Altra prova del fatto che spesso le regole dipendono dai punti di vista e a volte non sono uguali per tutti.
Morale del giorno: con il termine arte spesso si giustificano l'eccesso gratuito di personalità egocentriche. Un atteggiamento critico verso ciò che ci circonda e noi stessi, il cambiare ogni tanto punto di vista, ci permette di scoprire dettagli che ci raccontano storie più ricche, piuttosto che guardare passivamente quello che ci viene offerto come arte.    

sabato 31 agosto 2013

Manet a Venezia

Il 13 Settembre 1874 a Venezia, lo ricorda la Gazzetta Veneta del giorno dopo, ci fu un grande temporale estivo con lampi e tuoni. Fu l'atmosfera questa che accolse l'arrivo in città di Eduard Manet.
La stessa che, fatte le debite proporzioni, ha accolto me il 14 agosto. Una pioggia incessante ha accompagnato la passeggiata e la visita alla mostra, con sottofondo di tuoni, scrosci d'acqua, fulmine e spegnimento improvviso della luce sul finale. La mostra 'Manet. Ritorno a Venezia' indaga l'influenza che i due viaggi in città ebbero sulla sua produzione. L'ambientazione atmosferica si è dimostrata ideale.
Con queste suggestioni 'climatiche' davanti a 'Il balcone' si può intuire il motivo per il quale Berthe Morisot sia così definita rispetto agli altri due personaggi, Fanny Claus e il pittore Antoine Guillemet, come se l'atmosfera e la distanza fra loro e il pittore sia atmosferica oltre che emotiva. Fra loro non c'è relazione, ognuno è concentrato sui propri pensieri e solo alcuni elementi accessori sono degni di definizione.
Altra distanza ne 'Il pifferaio'. Mi colpisce l'ombra sulla mano. E' un ombra netta, quindi solare. Lo sfondo neutro che tanto aveva stupito all'epoca mi suggerisce un'altra riflessione. E' l'ipotesi, del tutto personale, che il ritratto sia di derivazione fotografica. Non sarebbe da escludere visto che altri quadri di Manet, di soggetto spagnolo, sono stati tratti da fotografie. L'atmosfera temporaneamente autunnale all'esterno, la luce perfetta, i pochi visitatori, e l'osservazione della Venere di Tiziano dispongono a dialoghi intimi con le tele ritrovando un po' di quiete dalla tempesta.
Distanze e atmosfere.
Esco dal Palazzo Ducale incontro alla pioggia della quale presto sarò bersaglio mobile, mentre l'angelo guarda verso il mare cercando di fermare il temporale.
Una città umida e fredda insieme, dove gli ostacoli al movimento e la fatica elevano lo spirito disponendolo ad uno stato di arrendevolezza e fatalismo, che sembra voglia lavare dagli affanni senza riuscire a purificare, tante sono le scalfiture ormai collezionate; fino al momento in cui ti confondi con lo spazio e l'atmosfera che ti circonda, un po' come accade ne 'Il balcone': pochi i dettagli definiti e a volte nemmeno te stesso. Non c'è altra scelta che camminare allora incontro ai quotidiani ostacoli alla definizione di sè.

lunedì 3 giugno 2013

Azerbaijan Pavilion

Il titolo 'Ornamentation' rimanda ad una cultura che comunica la propria identità attraverso la decorazione, Nel padiglione tale propensione alle arti decorative viene rivisitata da alcuni artisti che riflettono sulla loro tradizione e sulle sue forme consolidate nel tempo. All'ingresso si entra direttamente in un ambiente interamente rivestito di tessuto che riprende i disegni dei tappeti tradizionali secondo un ottica vicina al design contemporaneo. 

Riconosco la poesia dell'ornamento che nasce dal caos. Ma è caos? No, solo apparente. 
'It is not chaos' è la prima delle installazioni di Rashad Alakbarov il quale attraverso la disposizione di oggetti davanti ad una fonte di luce crea  immagini di bellezza in grado di entrare in empatia con l'osservatore. Attraverso la luce che attraversa un groviglio di aste appaiono immagini tipiche fra le quali quel tipo di decorazione tradizionale chiamata 'shebeke'. C'è sicuramente qualcosa che mi è familiare in queste immagini non solo per le mie ricerche geometriche, ma anche perché mi ricordano, ad esempio, i grafismi metallici di Dmitri Gutov e prima ancora alle sperimentazioni di J.F. Niceron.  

Cambiare per un po' il proprio punto di vista, vedere attraverso lo sguardo di un'altra cultura e la sua storia. Se questo è uno dei più alti obiettivi che ha una mostra, nel padiglione dell'Azerbaijan è perfettamente centrato.

domenica 5 maggio 2013

Jean François Niceron. Prospettiva, catottrica & magia artificiale

Jean François Niceron (1613-1646), Padre minimo francese, è una figura 'curiosa'. L'aggettivo non è a caso perché fu soprattutto un matematico e un prospettico che elaborò e conferì corpus teorico all'ottica ed in particolare alle sue illusioni.


La sua produzione scientifica è raccolta in due libri La perspective curieuse (1638) e il Thaumaturgus Opticus (1648) pubblicato postumo, nei quali sono raccolti i suoi studi relativi all'ottica intesa come luogo misterioso nel quale è depositato un codice segreto della presenza divina. Questa ricerca si esplica attraverso esperienze pittoriche come le prospettive accellerate la cui visione corretta si ha da un solo punto di vista, che hanno al contempo una dimensione ludica e filosofica. Tale 'disposizione d'animo' è riscontrabile in tutta la sua produzione scientifica pur senza inficiare il valore dei suoi studi.
L'occasione per scoprire Niceron è una piccola quanto completa mostra che si sta svolgendo allo IUAV nella sede di Santa Marta dal titolo 'Jean François Niceron. Prospettiva, catottrica & magia artificiale' a cura di Agostino De Rosa e Imago rerum, dove viene illustrato con rigore e dovizia di particolari il contenuto dei libri di Niceron anche attraverso le ricostruzioni delle sue macchine prospettiche. Fra queste sono di particolare suggestione le anamorfosi sia cilindriche che spaziali, le prospettive coniche, la diottrica e il suo cannocchiale che ricompone un'immagine scomposta, vero e proprio anagramma d'immagini.






L'esperienza di Niceron e con lui di Maignan, seppur espressa in un tempo brevissimo, ha influenzato l'arte e l'architettura della Roma del '600, fino a scorgerne riferimenti nell'arte dadaista e concettuale. Sarà un caso infatti che proprio Duchamp individuò un gioco di parole nel nome del nostro: Nice R On tradotto come 'una simpatica arte in azione'.

Composizioni.1



Scarti ritrovati sono diventati racconti di forme.

sabato 4 maggio 2013

La matita EE. Un caso (quasi) chiuso

matita EE vs 8B
A volte il tempo passa e nemmeno me ne accorgo. 
Abito un mondo immaginario che sconfina nell'immaginifico, popolato da forme, composizioni, logaritmi, dove il tempo è relativo e steso alla rinfusa su un unico piano. Se avessi avuto bisogno di una conferma sarebbe arrivata, moltiplicata, qualche giorno fa in alcuni dei luoghi frequentati durante l'università.
La prima è stata quando uscendo dalla facoltà ho incrociato un dipendente che a distanza di anni mi ha salutata come se davvero il tempo non fosse passato, tale è stata la naturalezza e la mia conseguente sorpresa che qualcuno si ricordi di me.
Altra conferma, meno piacevole nella storica cartoleria. Da tempo ero alla ricerca di due tipi di matite, EE ed EB, e avendo ripreso con una certa costanza il disegno a mano libera mi servono degli strumenti con cui sperimentare e allenare la sensibilità della mano. Utilizzare graffiti di durezza/morbidezza diversa è fondamentale. Dopo vane ricerche durante le quali sembrava chiedessi qualcosa che non era mai esistito, ho finalmente avuto la risposta. "Hanno smesso di produrle. In alternativa ci sono le 8 e 9B."
Messe a confronto non mi sembrano la stessa cosa, la EE cui sono affezionata ha un tratto nero intenso senza essere polverosa, come un carboncino secco, quasi una penna, mentre la 8B (la 9 non c'era) è più fioca. Delusa ma non sconfitta ritento con un altra richiesta da un tempo passato: 
"Cartoncino Canson spessore 1.5mm, 50x70cm?"
"Non lo fanno più, ora fanno il 100x70."
Farlo quando mi serviva no? La sequenza di richieste ha prodotto una contenuta ilarità. Il tempo minacciava pioggia e l'afa veneziana più che un avvertimento di lì a poco sarebbe stata certezza. Mi adatto all'evoluzione e me ne vado con una 8B, che non è la stessa cosa, un carboncino e un cartoncino 100x70 che mi ha trasformato nel tipico esemplare di studente di architettura, impacciato che gira per la città con improbabili volumi di plastici, che un tempo di sicuro sono stata e in fondo continuo ad essere.

sabato 30 marzo 2013

Una lezione di Paul Klee

Riemergo dallo studio in cui sono trincerata per pubblicare una pagina tratta da una lezione di Paul Klee che oggi mi ha illuminato, nonostante la pioggia incessante.
La traduzione sarà forse imprecisa ma il senso e l'esortazione sono chiarissime. 

"Il padre della freccia è il pensiero: come faccio a espandere la mia portata? Oltre questo fiume? Questo lago? Quella montagna?
Il contrasto tra la capacità ideologica dell'uomo di muoversi in modo casuale attraverso spazi materiali e metafisici e le sue limitazioni fisiche, è all'origine di ogni tragedia umana. E' questo contrasto tra potere e prostrazione che implica la dualità dell'esistenza umana. Metà alato metà imprigionato, questo è l'uomo!
Il pensiero sta a metà tra la terra e il mondo. Tanto più ampia è la grandezza della sua portata, tanto più la tragica limitazione dell'uomo è dolorosa. Essere spinto verso il movimento e non essere il motore!
In che modo la freccia può vincere l'attrito che la ostacola? Mai abbastanza per arrivare dove il movimento è interminabile. Rivelazione: che tutto ciò che ha un inizio può essere infinito. Consolazione: un po' più lontano del solito. E' possibile?
Siate frecce alate, puntando ad assicurare il rispetto e l'obiettivo, anche se ci si stancherà presto senza aver raggiunto il segno."
Paul Klee

martedì 5 marzo 2013

Apparato di cattura

Il concetto di lavoro attiene anche alla sfera dell'architettura come struttura sociale e politica.
In questo periodo di studio e di 'fitta sassaiola', sto rileggendo 'Apparato di cattura' di Gilles Deleuze e Felix Guattari, dove occupandosi della distinzione fra spazio liscio e spazio striato ne analizzano anche la declinazione relativa al concetto di lavoro.
Durante il XVIII secolo, il lavoro era una quantità astratta, per la quale la forza lavoro poteva essere moltiplicata e divisa secondo le esigenze, seguendo un concetto fisico-scientifico per cui la forza-spostamento e peso-altezza erano alla base del lavoro stesso. Si è imposto nel tempo un modello lavoro che è parte dell'apparato dello Stato, prendendo come modello l'uomo impiegato nel pubblico, individuando nel 'tempo libero' quello spazio nel quale esprimere la libera azione e quelle capacità ed aspirazioni spesso mortificate.
Si tratta di un sistema striato, quello statale, con regole precise che trova una esemplificazione nell'organizzazione degli eserciti.
Dove manca un modello di stato manca un modello di lavoro. Le società definite anarchiche seguono una legge, definita da G.D. e F.G. essere del 'nomos', per cui variano l'attività secondo le necessità. Uno spazio liscio.
Mentre il capitalismo ha operato su un sistema complesso che coinvolge i trasporti, le comunicazioni fino ad interferire con il tempo libero e l'alienazione, le multinazionali si muovono su uno spazio liscio senza confini e deterritorializzato.
Si è consolidata così l'idea del lavoro svincolata dalla norme dello stato che tutelano chi lavora, con un preoccupante ritorno al passato. Uno vale l'altro in virtù di una eccessiva produzione di beni che parte del mondo non riesce a consumare, mentre un'altra parte non ne ha accesso. Una delle conseguenze è l'impoverimento dei lavoratori e una 'chiamata' al sacrificio in nome della conservazione del lavoro e una più subdola tutela dello status di chi il lavoro lo offre. Tutto questo ha legittimato l'uso di metodi lontani da ogni logica di cui il precariato è una delle più note espressioni.
Ora si assiste allo scontro fra apparati striati e lisci, e al declino di una economia che ha annullato il valore dell'uomo. E' un utopia che ogni persona possa esprimere attraverso il lavoro la parte migliore di sè, assecondandone il talento, ma dal momento che conservo, a fatica, una buona dose di utopia penso che questo è il momento giusto per trovare nel 'tempo libero' l'originale espressione del sè affinchè questa non sia relegata ad un momento personale e sia affermazione del proprio valore di esseri umani.

sabato 26 gennaio 2013

Tutto è connesso

Immagine dal film 'Cloud Atlas'

Tutto è connesso.



P.S. ogni riferimento è puramente casuale