domenica 25 settembre 2011

Il trionfo della bellezza. Casino Venier

Casino Venier è uno scrigno prezioso nascosto agli occhi dei visitatori distratti dalle calli commerciali fra San Marco e Rialto.


È una piccola porzione di palazzo, nel quale la signora Venier, Elena Priuli, moglie del procuratore Venier, organizzava feste, incontri letterari e privati. È composto, in scala minore, come un tipico palazzo: sala centrale su cui si aprono quelle laterali. Attualmente è sede dell’Associazione Culturale Italo-Francese, Alliance Française, che per la Biennale ha organizzato la mostra Megachromia di Roger de Montebello. È una piccola esposizione che si sviluppa in due stanze, dove nella prima vi sono dei light box con immagini di strati di colore ad alta definizione, mentre nella seconda stanza vi sono una serie di piccoli quadri con soggetti veneziani e ritratti, che, mi è stato spiegato dalla gentile guida, sono i dipinti, da cui sono tratti, ingranditi, i dettagli della prima stanza. Oltre alla buona pittura, ultimamente trascurata, trovo interessante il metodo di esporre le opere, e di leggere le cromie, perché i dettagli fotografano il passaggio dall’astratto al figurativo, mostrando come siano in realtà legati dal gesto della composizione, giungendo, nell’esposizione, ad una sintesi fra i due.


Al di là della sorpresa piacevole di questa mostra, vi è la sorpresa di entrare in uno spazio che sebbene piccolo, si avverte denso di storie, dove gli accorgimenti architettonici raccontano delle dinamiche interne. Sulla parete che si ha alle spalle salendo la scala d’accesso, vi sono due grate laterali e una centrale; mi è stato raccontato che la loro funzione era quella di diffondere la musica che i musicisti suonavano nella stanza retrostante, senza essere visti dagli ospiti. L’occhio è il protagonista di questo spazio, perchè le pareti sono rivestite di specchi, che allargano lo spazio e aumentano la luce, era privato della vista degli estranei, e controllava da un piccolo elemento della pavimentazione asportabile, chi dal piano terra avesse intenzione di entrare. È un ambiente ovattato, decorato di stucchi e specchi, femminile, poetico di una bellezza fragile, che le foto non possono trasferire, e per questo da osservare e visitare con la giusta disposizione.


Quando ci si trova davanti alla bellezza, le riserve si dissolvono, e non resta che abbandonarsi alla contemplazione. È destabilizzante quando questo stato d’animo si incontra due volte nello stesso giorno.

Il trionfo della bellezza. Bruegel Suite

Nella Chiesa di San Lio c’è un nuovo capolavoro, 'Bruegel Suite' di Lech Majewski.


Uso questa parola senza timore perché, come già accadde per 'L’ultima Cena' e 'Le nozze di Cana' di Peter Greenaway, l’arte antica prende vita attraverso il cinema e stimola a cambiare le nostre percezioni. Da una parte l’antico viene rivisto attraverso la tecnologia e ritorna a parlarci con nuovi codici, dall’altra siamo difronte alla vocazione più pura del cinema, raccontare storie manipolando le immagini. È un evento collaterale della Biennale, ospitato in una chiesa del patriarcato che mi fa supporre sia una sorta di preludio alla prossima partecipazione del Vaticano con un suo padiglione (del quale quest’anno comprendo e condivido l’assenza, ma non posso proprio, per la generale pochezza di temi, non sentirne la mancanza). L’esposizione si compone di due video collocati al lati dell’altare maggiore, ispirati alla Salita al Calvario di Bruegel, descrivono in parallelo due sacrifici, quello di Gesù, e l’altro, di un anonimo, ad opera delle milizie spagnole contro gli eretici delle Fiandre nel 1563. Si ha un impatto potente con le immagini, la cui composizione è realizzata con una serie di fotomontaggi, come layers sovrapposti, a prospettive diverse, che creano quadri complessi, immaginifici, senza edulcorare la violenza che viene descritta, ma portandola su un piano quasi metafisico. L’ambientazione amplifica il significato spirituale dei video, grazie anche al fatto che si assiste ai martìri seduti sui banchi di una chiesa in funzione, dove gli schermi sono collocati come altari, in una logica continuità con quelli esistenti.



Lungo la navata sinistra vi sono altri video che ripropongono sequenze ispirate alle ambientazioni dei quadri di Bruegel, realizzate con la stessa tecnica della sovrapposizione di prospettive, nelle quali i personaggi si muovono, osservati da Bruegel stesso.

Questi video fanno parte di un film dal titolo ‘The mills and the cross’ di Lech Majewski con un perfetto Rutger Hauer che interpreta Bruegel, Michael York nelle vesti di Jonghelinck, banchiere e collezionista, amico di Bruegel, e Charlotte Rampling che interpreta Maria.
Il trailer e altre informazioni sono contenute nel sito http://www.themillandthecross.com/

Kazuyo Sejima. Lectio magistralis

Al Cersaie, a Bologna, è stata ospite per una lectio magistralis Kazuyo Sejima che ha raccontato attraverso alcuni progetti, il suo metodo compositivo. Ne è emerso un approccio che si sviluppa in diversi modi, anche contrapposti:
sintetico, nell'affermare la centralità dell’uomo nel concepire il progetto, non solo in rapporto ad un singolo individuo ma valutando come uno spazio architettonico possa rispondere ad esigenze sociali collettive,
essenziale nel privilegiare gli spazi distributivi in funzione del movimento fra un luogo e l’altro,
massimalista, secondo Fulvio Irace che l’ha presentata, perché le sue architetture ‘amplificano l’impatto sul corpo’.


Un approccio al progetto articolato ma essenziale nel risultato che sebbene mi sia lontano, ritengo sia da accogliere per quanto riguarda le linee guida. Meno d’accordo sono con la facile constatazione, fatta durante la presentazione, che una donna possa essere architetto ed esser in grado di pensare e gestire architetture di forte impatto costruttivo e visivo. Evidentemente ancora stupisce.

sabato 17 settembre 2011

Da Cuba a San Servolo

Dopo un assenza di 44 anni la Biennale ospita il Padiglione di Cuba nell’Isola di San Servolo. All’inizio pensavo che la scelta di ‘confinare’ il padiglione in un isola, che sebbene non lontana, è fuori dal flusso turistico, avrebbe penalizzato la visita delle esposizioni che vi si trovano, in realtà mi sono dovuta ricredere. Dal 1725 al 1978 era un luogo ‘altro’, la cui funzione era la cura di malattie mentali. Ora ospita fondazioni, spazi studio e congressuali, ma soprattutto un parco nel quale potersi isolare lontano dal chiasso turistico. Al centro di questo parco, in una dimensione sospesa si trova Cuba. L’esposizione è concepita come una dichiarazione d’amore, da cui il titolo della mostra ‘Cuba mon amour’, tant’è che vi sono esposti sia artisti cubani che italiani e spagnoli.


Mi soffermo sugli artisti cubani.


Alexandre Arrechea con i grattacieli/trottola dall’eloquente titolo ‘The city that stopped dancing’, che rappresenta l’instabilità di una società concentrata sull’ascesa sociale.



L’orizzonte di peso (nella doppia accezione, di forza peso, e di moneta cubana) di Eduardo Ponjuán, tanto labile quanto pesante, il cui simbolismo si lega con l’opera Emigrante di Yoan Capote che si trova all’esterno, dove degli alberi/umani, sono sradicati dal terreno, forse alla ricerca di un altro orizzonte.


Yoan Capote è anche autore dell’autoritratto composto da due ossa di gambe umane che reggono tre blocchi di cemento, ma soprattutto, tutto il peso simbolico annesso.



Duvier del Dago che disegna nello spazio attraverso fili luminosi, rappresenta in questo caso i segnali GPS, il cui sottotesto è l’autonomia di pensiero attraverso la tecnologia e una dimensione spaziale menatale oltre che fisica.

Trattasi di un esordio promettente, che spero si consoliderà nella Biennale di Architettura del 2012.