sabato 22 agosto 2015

Flâneur veneziano n°2. Biennale 2015

Sarò breve.
Ho finito.
Potrebbe essere l'incipit adatto se non fosse per alcune opere interessanti che meritano di essere segnalate.


'Every life is a fire' di Ricardo Brey (Arsenale). L'artista cubano espone una serie di scatole cubiche che una volta aperte svelano mondi privati. Quaderni, sculture, immagini, oggetti vari, compongono il sapere custodito in scrigni, come metafora della mente umana.

'The End of Carrying All' di Wangechi Mutu (Giardini), video nel quale l'artista si muove in
uno spazio onirico e metaforico camminando con una carico sulla schiena che 
lentamente aumenta rendendo sempre più difficoltoso ogni passo, fino all'epilogo finale. 
Una denuncia della condizione femminile, raccontata con grazia ed eleganza senza 
rinunciare alla critica. link to artsy



Tetsuya Ishida ai Giardini viene ricordato, a dieci anni dalla morte, attraverso una selezione di quadri nei quali si è autoritratto identificandosi con l'essere umano contemporaneo. Scene claustrofobiche dove il protagonista, una sorta di 'Tetsuo: the iron man' di Shinya Tsukamoto, viene assimilato dalla città contemporanea diventando parte dei suoi ingranaggi. Un uomo/macchina asservito alla società dei consumi.


'Everything will be taken away' di Adrian Piper, ai Giardini. Una teoria di foto familiari dove i volti sono abrasi fino a cancellarli. A sostituirli la frase che dà il titolo alla serie. Allo stesso modo delle lavagne scolastiche con la medesima frase ripetuta come fosse una punizione.

Spesso si vedono sedicenti 'opere d'arte' che assolvono al discutibile comandamento del 'piccola idea => grandi dimensioni'. Quando, come nei casi qui elencati, un progetto artistico ha un'idea forte non servono né grandi dimensioni né troppe parole per spiegarlo. 

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