Questo percorso è visibile nella retrospettiva dedicata a Capogrossi al Guggenheim dove si ha modo di avere una visione completa della sua produzione e soprattutto del passaggio da una pittura figurativa all'astrazione.
Partendo dalle prime esperienze pittoriche debitrici di De Chirico con suggestioni alla Masaccio e Piero della Francesca per la composizione geometrica analitica, le masse corporee e il colore terroso, i soggetti umani lasciano il posto a studi di oggetti comuni come le finestre e il conseguente studio di linee. L'evoluzione è stata ridurre ai minimi termini questi segni fino a trovare un segno identitario e forse atavico, nel quale convergessero la linea d'orizzonte e il cono ottico, o come indicano altri storici, un nucleo che contiene i quattro elementi naturali. Un pettine ridotto all'essenziale che diventa matrice ripetibile all'infinito secondo logiche compositive tali da creare spazi paragonabili a planimetrie irreali.
Se Fontana ha forato la tela per farvi entrare lo spazio, Capogrossi descrive uno spazio bidimensionale osservato da un lontanissimo punto di fuga. Uno spazio personale descritto per campi di forza generati dal morfema tetradentico: elemento che diventa carattere e termine insieme di equazioni spaziali, dove ogni composizione va letta come un racconto di rapporti fra forze.