In questi giorni, quando le correnti d’aria sono a favore, in Calle dei Cerchieri, arriva a prenderti, da lontano, il suono di un pianoforte che ti conduce verso il fondo della calle e mentre potresti affacciarti su una vista parziale del Canal Grande, l’ingresso di Palazzo Loredan dell’Ambasciatore è generosamente aperto e ti invita ad entrare. Ci si trova così al piano terra del palazzo, nel quale, al centro, un pianoforte Stainway, rosso e interamente intagliato a motivi d’ispirazione Maori, viene suonato da un musicista. Questo è l’effetto inaspettato di essere nel padiglione della Nuova Zelanda ad opera di Michael Parekowhai, dove l’installazione coinvolge anche l’esterno, a partire dalla calle, per portare il visitatore a vivere un’esperienza sensoriale simile a quella descritta da John Keats nella poesia ‘On First Looking into Chapman's Homer’, che descrive lo stupore di un avventuriero che vede per la prima volta il Pacifico dall’alto di una collina. L’ardito collegamento fra la musica, vista in questo ambiente come l’elemento che riempie lo spazio e coinvolge emotivamente lo spettatore, continua in due sculture composte da un toro su un pianoforte, una collocata in corrispondenza della porta d’acqua del palazzo (dove poter vedere il Canal Grande da un’angolazione inconsueta), l’altra collocata al centro del giardino privato dalla parte opposta sotto l’occhio vigile di una statua in bronzo che dall’angolo osserva immobile. Al di là degli oggetti scultorei, il cui significato risulta complicato più che complesso, ciò che resta sono i percorsi fra esterno e interno, musica e silenzio. Si esce dal palazzo ancora accompagnati dal suono della musica che al nostro passo scivola in dissolvenza, lasciando un altro punto di vista della città e dell’interpretazione della sensazione di spazio.
Nella breve guida che illustra il padiglione e il lavoro di Michael Parekowhai manca il testo che ha dato l’ispirazione del tema, lo inserirò di seguito, per una maggiore comprensione.
On First Looking into Chapman's Homer
Much have I travell’d in the realms of gold,
And many goodly states and kingdoms seen;
Round many western islands have I been
Which bards in fealty to Apollo hold.
Oft of one wide expanse had I been told
That deep-brow’d Homer ruled as his demesne;
Yet did I never breathe its pure serene
Till I heard Chapman speak out loud and bold:
Then felt I like some watcher of the skies
When a new planet swims into his ken;
Or like stout Cortez when with eagle eyes
He star’d at the Pacific—and all his men
Look’d at each other with a wild surmise—
Silent, upon a peak in Darien.
Guardando per la prima volta l'Omero di Chapman
Molto ho viaggiato nei reami d'oro,
e molti vidi buoni stati e regni,
e tutt'intorno a molte navigai
isole d'occidente, che poeti
mantengono d'Apollo in signoria.
Spesso mi fu narrato d'una vasta
landa cui tiene in suo dominio Omero
dalla fronte profonda; eppure mai,
giammai ho respirato la sua pura
serenità, finché io non udii
Chapman parlare forte e audace: allora
simile ad uno che nei cieli scruta
io mi sentii, quando un nuovo pianeta
nuota sotto il suo sguardo; o al valoroso
Cortés quando fissò con occhi d'aquila
il Pacifico - e tutti i suoi compagni
con febbrile incertezza si guardarono -
silente, sopra un picco in Darién.
In questo giardino, che ricorda vagamente l'ambientazione de 'Il carteggio Aspern', inizia la mia ricerca al giardino descritto da Henry James. Tutto è appena cominciato.