Diversi palazzi veneziani sono diventati sede di esposizioni di vario genere in occasione della Biennale, e camminare in città significa anche essere attirati in spazi che si aprono all’improvviso, alla fine di una calle, o in altri casi ci si può trovare a seguire il fievole suono di un pianoforte che arriva da un palazzo sul Canal Grande, oppure può capitare che il profilo del canale che conosci bene sia improvvisamente cambiato e spunti una struttura ramificata che per quanto organica emerge come un organismo estraneo, o ancora una casetta unifamiliare borghese spigolosa, oppure l’orrore che minaccia il ponte dell’Accademia.
È da questo ponte e dallo stesso punto di vista, che se si punta lo sguardo verso destra si nota la struttura temporanea e in divenire di Big Bamboo di Doug e Mike Starn portata in città da Hogan, una sorta di torre di Tatlin dall’aspetto più precario, la cui salita è solo per spiriti indomiti che non conoscano le vertigini, ma il fascino e l'allegria infantile che suscita nei visitatori è per tutti.
Se si gira invece, lo sguardo verso la riva sinistra del canale, ci aspetta la Narrow House di Erwin Wurm; una forma che disturba lo sguardo, soprattutto se paragonata allo spazio in cui è collocata. Non è un'aberrazione dello sguardo ma una casa dall'aspetto così rassicurante che nasconde in realtà delle deformazioni tali da risultare compressa. In effetti nell’intenzione è la metafora della società austriaca, opprimente e soffocante nella quale l’autore dice di essere cresciuto; esperienza nota anche se per alcuni non immediatamente intellegibile.
Se si guarda davanti a sé, purtroppo appare una terza ‘installazione’, questa volta indecorosa, di lucchetti nuovamente comparsi dopo essere già stati rimossi. Ne risparmierei l’immagine, ma credo che l’arte abbia la responsabilità di educare al bello e finché truppe di sedicenti artisti e scrittori continueranno a prediligere immagini e spazi disturbanti, nei quali il concetto di bellezza e armonia vengono stravolti in virtù di un arte che s’ispira alla realtà, ma di fatto risponde a logiche di marketing, allora non mi stupirebbe se l’infilata di ganci fosse confusa con una installazione concettuale sull’interconnessione di spiriti raminghi. Mentre se proprio dovesse avere un senso potrebbe essere quello della stupidità umana.
Quest'anno devo ancora fare la "passeggiata" alla Biennale d'Arte e tra le varie sedi di esposizione ... ammetto però che spesso ci vado più per vedere luoghi generalmente chiusi al pubblico che per ammirare le opere! Purtroppo invece le nuove installazioni a base di lucchetti le ho viste ... era iniziato con pochi sporadici esemplari che, poverini, si sentivano un po' soli e si vergognavano anche loro di essere la, appesi ai ponti ...
RispondiEliminaSono d'accordo con te e probabilmente tornerò sull'argomento nel prossimo post. In effetti quest'anno ho una certa ritrosia ad avvicinarmi ai Giardini o all'Arsenale, e i luoghi delle esposizioni collaterali sono spesso, per me, delle vere scoperte.
RispondiEliminaPer i lucchetti...non c'è limite al cattivo gusto e alla pochezza di spirito.
Grazie della tua partecipazione.