sabato 17 settembre 2011

Da Cuba a San Servolo

Dopo un assenza di 44 anni la Biennale ospita il Padiglione di Cuba nell’Isola di San Servolo. All’inizio pensavo che la scelta di ‘confinare’ il padiglione in un isola, che sebbene non lontana, è fuori dal flusso turistico, avrebbe penalizzato la visita delle esposizioni che vi si trovano, in realtà mi sono dovuta ricredere. Dal 1725 al 1978 era un luogo ‘altro’, la cui funzione era la cura di malattie mentali. Ora ospita fondazioni, spazi studio e congressuali, ma soprattutto un parco nel quale potersi isolare lontano dal chiasso turistico. Al centro di questo parco, in una dimensione sospesa si trova Cuba. L’esposizione è concepita come una dichiarazione d’amore, da cui il titolo della mostra ‘Cuba mon amour’, tant’è che vi sono esposti sia artisti cubani che italiani e spagnoli.


Mi soffermo sugli artisti cubani.


Alexandre Arrechea con i grattacieli/trottola dall’eloquente titolo ‘The city that stopped dancing’, che rappresenta l’instabilità di una società concentrata sull’ascesa sociale.



L’orizzonte di peso (nella doppia accezione, di forza peso, e di moneta cubana) di Eduardo Ponjuán, tanto labile quanto pesante, il cui simbolismo si lega con l’opera Emigrante di Yoan Capote che si trova all’esterno, dove degli alberi/umani, sono sradicati dal terreno, forse alla ricerca di un altro orizzonte.


Yoan Capote è anche autore dell’autoritratto composto da due ossa di gambe umane che reggono tre blocchi di cemento, ma soprattutto, tutto il peso simbolico annesso.



Duvier del Dago che disegna nello spazio attraverso fili luminosi, rappresenta in questo caso i segnali GPS, il cui sottotesto è l’autonomia di pensiero attraverso la tecnologia e una dimensione spaziale menatale oltre che fisica.

Trattasi di un esordio promettente, che spero si consoliderà nella Biennale di Architettura del 2012.



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