Arrivando da Campo Santo Stefano verso Campo San Samuele, ci si imbatte in una pedana rossa che invita a salire e ad affacciarsi ad una finestra per spiare all’interno e incrociare lo sguardo di due homeless intenti a parlare. È l’installazione di sculture parlanti del duo svizzero Glaser/Kunz. L’effetto è straniante perché se da una parte ci si rende conto di essere davanti a dei manichini, la resa della proiezione sulle teste, modellate sul calco degli attori, fa sì che il dubbio di essere davanti ad esseri viventi o ad una macchina ‘pensante’ in grado di seguirti con lo sguardo, esista, e sia motivato dal fatto che il sistema di proiezione non è visibile, sapientemente nascosto all’interno dei sacchetti di cartone posizionati ‘casualmente’ davanti alle teste. Siamo al piano terra del Palazzo Malipiero, abitato per l’occasione da degli homeless parlanti, seduti a terra, ma sospesi in un dialogo sulla loro condizione umana che ricorda Beckett, tanto che si ha l’impressione di essere il Godot che stanno aspettando. L’effetto è amplificato se ad assistere al dialogo si è da soli e le stanze non sono ancora popolate da esseri viventi, perché allora si avrà la sensazione di partecipare ad un evento senza averne l’invito, di vedere una sorta di cinema tridimensionale e polisensoriale, a tratti disturbante ma coinvolgente.
In questo caso l’operazione di Glaser/Kunnz potrebbe sollecitare diversi ambiti artistici (penso ad una sfilata di Gaultier dove i volti di famose attrici venivano proiettati sul velo indossato da una modella) e un diverso approccio al racconto teatrale.