Mi è stato chiesto cosa possa spingere centinaia di persone a resistere alla prova di dissuasione di una fila lunghissima per entrare alla Biennale e ad accorrere in massa a vederla. E siccome è buona regola parlare di ciò che si conosce ho pensato a cosa muove la sottoscritta.
Ci si sposta malgrado alcune difficoltà, magari fisiche, per esempio quei malanni che accusano e devono trascurare i precari, nonostante i quali si deve andare a lavorare, affrontando stoicamente la nuova schiavitù aziendale. Non ferma nemmeno il tempo incerto e umido che di sicuro non agevola nemmeno la riabilitazione; né tanto meno il viaggio in autobus senza sospensioni, così come l'aumento sconsiderato del prezzo dei biglietti della mostra.
I motivi possono essere i più disparati: qualcuno lo farà per moda, altri come lodevole alternativa ai centri commerciali, molti nel caso specifico della Biennale perché è un evento, altri per necessità professionale o curiosità culturale.
Ma nel profondo dell'animo umano credo ci sia il desiderio di diventare migliori attraverso la visione e l'esperienza della bellezza intesa in senso lato. E quando questo non accade e si avverte, uscendo, quella sensazione di non aver imparato qualcosa, la delusione prevale anche sulla stanchezza fisica.
Il record di visitatori alla 55a Biennale d'Arte ne decreta il successo. Dal punto di vista numerico e quindi economico è un fatto indiscutibile.
E' un'esposizione che ha l'intento di mostrarci attraverso le esperienze artistiche contemporanee, lo stato delle cose, farci capire dove l'uomo sta andando attraverso lo sguardo degli artisti. Un obiettivo alto.
Questo è un altro successo di questa edizione della Biennale rispetto alle ultime edizioni; perché mai come quest'anno si è vista la totale decadenza dell'arte. Non è d'altra parte, la nostra, un epoca di decadenza culturale, morale e politica?
Sono ormai intollerante alle pretestuose provocazioni di performance che vorrebbero disturbare ma che vedo ora provocare moti d'ilarità soprattutto fra i giovani, abituati a ben altro. Corpi stesi in 'simil pisolini post prandiali', suoni gutturali emessi dal performer n°1 mentre il n°2 si muove trasportato dalle vibrazioni sonore, e attenti che non si possono fotografare altrimenti si sciupano, o un cavallerizzo che per otto ore al giorno deve stare a cavalcioni su una trave come simbolo dell'uomo consumista. Non stupiscono più e non disturbano nemmeno. Al limite per loro si può avvertire un sentimento di compassione.
Ora che il mio viaggio tra Arsenale e Giardini è concluso posso esprimere un giudizio complessivo, e inizio questi racconti dalla fine perché speravo di ricredermi ed essere, alla fine, stupita. Dedicherò attenzione solo a ciò che considero degno di nota, per gli altri, compreso il padiglione Italia, è più rispettoso un eloquente silenzio.