'Teoria del campo' vol. 1 di Attilio Marcolli è uno di quei libri che per discutibili scelte editoriali, si devono inseguire da una biblioteca all'altra, oppure sperare di incontrare per caso in qualche mercatino dell'usato, dal momento che non viene stampato da anni, nonostante venga ancora inserito nelle bibliografie di diversi corsi universitari.
Come nella migliore tradizione degli incontri casuali, ammesso che il caso esista, mi sono imbattuta in questo libro dopo varie deludenti ricerche, grazie ad una frase detta senza convinzione e ad una biblioteca che lo aveva conservato, pressoché intonso, fino a qualche settimana fa.
Si tratta di un volume fondamentale sulla percezione visiva e sull'approccio alla progettazione attraverso l'analisi della geometria e delle sue varie applicazioni in ambito compositivo, secondo l'individuazione di una serie di campi d'azione nei quali le forme si sviluppano, così come la nostra relazione con esse: campo geometrico intuitivo, campo ghestaltico, campo topologico e campo fenomenologico.
Lo studio di questo testo non è di tipo scolastico, nonostante fosse stato concepito per insegnare la visione e la progettazione nelle scuole medie, perché ha il pregio di raccontare la geometria dalla pura filosofia alla sua consistenza fisica, da teoria ad oggetto fisico, secondo un ordine logico ferreo indispensabile per organizzare i saperi multidisciplinari che confluiscono nello studio della materia.
Tomás Maldonado, nell'intervista pubblicata ieri su La Repubblica, avverte del pericolo per l'architettura e il design di un deriva estetizzante. Forse, dopo la deriva, ci siamo arenati visto l'esubero di architettura autocelebrativa concepita da architetti dall'ego smisurato. Credo che sia venuto il momento di studiare nuovamente le basi dell'architettura a partire da libri come quello di Marcolli dove si possono individuare delle regole universali della visione e della lettura che l'uomo inconsapevolmente fa del mondo e dei fenomeni che lo circondano. Forti di questo recupero, si possono affrontare nuovi progetti che descrivano la realtà attuale.
Questo è sicuramente un discorso mosso da un'esigenza personale, ma c'è un tratto del testo che credo possa essere di valore comune a chi si occupa di progettare e che risulta quanto mai contemporaneo:
'La nostra epoca ha perduto l'oggettività assoluta che era propria delle scienze autentiche, quando la conoscenza scientifica non aveva valori per i risultati e i contenuti, ma per le intenzioni che esprimeva in rapporto al mondo della vita. Nella intenzionalità infatti risiedeva il significato delle scienze, giacchè dire intenzionalità equivaleva a dire procedimento ideativo e metodologico. Questa intenzionalità e questa oggettività non sono recuperabili tramite lo psicologismo, il comportamentismo, l'empirismo, ma tramite un ritorno radicale all'oggetto, che per la fenomenologia è ritorno al progetto metodologicamente fondato.'